Felici e sfruttati (recensione libro)

Felici e sfruttati (recensione libro)

cena obamaHo appena finito di leggere  “Felici e sfruttati – Capitalismo digitale ed eclissi del lavoro” di Carlo Formenti e ho capito perché a un certo punto, circa sei mesi fa, ho avuto una personalissima crisi di rigetto e saturazione verso tutta la retorica intorno al cosidetto “2.0”, alla “partecipazione”, alla declinazione del “crowd” in tutte le sue forme.

Questo libro ha avuto il grande pregio di farmi riflettere su quanto ironicamente Formenti descrive così:

 

 

“Internet diventa la metafora irresistibile di una nuova era in cui tutto appare più facile e “leggero”; cadono le barriere geografiche e politiche che impediscono a tutti gli esseri umani di dialogare fra loro; l’economia si sbarazza dei vincoli della scarsità , promettendo ricchezze senza limiti grazie alla possibilità di produrre e distribuire a costo zero un’infinita gamma di servizi e prodotti immateriali; le gerarchie sociali, politiche ed economiche si appiattiscono in un mondo che regala a tutti il diritto di parlare, associarsi liberamente, creare delle nuove industrie”.

Insomma è brutto sentirsi un “pollo” che si è bevuto una serie di favolette. Ma se per qualcuno il risveglio può essere stato doloroso, e qui penso ad alcuni giovani che si sono trovati nel 2000 nel giro di qualche mese da manager superpagati a disoccupati, personalmente non ho mai amato i “portali commerciali” della bolla dot.com né ho mai pensato che il web2.0 avesse finalmente! permesso il riscatto delle masse (rispetto all’esecrato e passivo web1.0). E se la crisi del 2008 ha fatto aumentare il divario fra ricchi e poveri, trasformando i  knowledge worker da élite, profetizzata da Toffler, ad una tipologia di “precariato” non so se questo si possa davvero ascrivere alla cultura digitale.

Devo dire che anche il fascino delle folle collaborative autoorganizzate (vedi Shirky, Surowiecki) dopo una prima fase di infatuazione, mi si era già molto ridimensionato leggendo “La liberta ritrovata” di Schirmacherr ed in particolare condivido con Formenti l’aggettivo “aberrante” affibbiato al Turco Meccanico di Amazon [una interessante lettura su Quora sono le risposte alla domanda “qual è l’uso più creativo del turco meccanico di Amazon” su cui mi riprometto sempre di scrivere un post].

Non so se la rete favorisca come sostiene Formenti la “femminilizzazione del lavoro” perché le donne sono più adattabili, flessibili e disponibili ad accettare compensi inferiori, creando una concorrenza al ribasso con i colleghi maschi, ma personalmente constato che favorisca”la socialità individualizzata” o “l’individualismo socializzato”, in cui si lavora per la maggior parte del tempo da soli partecipando a team distribuiti in rete.

Questa larga parte di società in rete è quella che ha contribuito, negli Stati Uniti al succeso di Obama, ma non ci si faccia illusioni: ai piani alti i posti sono già tutti occupati da un’esigua rapprensentanza di quella “classe creativa” descritta da Florida. Nella nuova geografia che si sta delineando in cui l’Occidente importa modelli di flessibilizzazione e precarizzazione tipica dei paesi in via di sviluppo, i paesi emergenti si occidentalizzano importando tecnologie e stili di vita. In questo panorama Obama e la lobby delle internet company, usano la rete come arma strategica per imporre un’egemonia culturale. [E’ interessante in questo senso leggere questo post di Ethan Zuckermann su come si possa percepire in modo diverso il concetto di libertà di parola, visto da una prospettiva cinese]

Come dichiara lo stesso autore, dopo aver descritto un nuovo capitalismo che appare più subdolo di quello classico perché ci rende appunto “felici e sfruttati”, nel libro manca la pars construens che viene sintetizzata con un appello ad “una sinistra degna di tale nome” perché si ricostruisca un’identità di classe.

 

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