L’apprendimento nell’era digitale

L’apprendimento nell’era digitale

[:it]Questa Intervista è stata pubblicata su Open Badge Italia 

L’utilizzo delle applicazioni web e-learning, quiz e video hanno mutato il modello di apprendimento in classe. I ragazzi sono spesso impegnati alla ricerca di soluzioni alternative, le risorse sono tante e il loro entusiasmo cresce per poi crollare a picco.

È possibile integrare le vecchie tecniche di apprendimento con le nuove tecnologie?

Quali sono le “vecchie” tecniche di apprendimento? Tecniche di memorizzazione? In ogni caso le tecnologie da sole non cambiano nulla, possono essere usate benissimo con un modello didattico trasmissivo. Per questo non ha molto senso la domanda “ma si impara di più con il tablet/pc”

Cosa manca e cosa va migliorato nel nuovo approccio didattico?

Una buona didattica non ha necessariamente bisogno delle tecnologie, purtroppo la cosa più difficile è spingere i ragazzi a pensare con la loro testa, a farsi delle domande e non dare nulla per acquisito.

Come l’evoluzione della tecnologia ha influenzato e cambiato l’apprendimento in classe?

Il digitale non è più qualcosa di nuovo, è qualcosa che è entrato nella normalità. Ai nonni sembrava strano avere l’elettricità in casa, a me sembra ancora incredibile poter scrivere a qualcuno che non conosco dall’altra parte del mondo e avere una risposta su una sua ricerca. Le tecnologie facilitano il compito di far costruire una lezione ai ragazzi, trasformandole in missioni, webquest, assegnando ricerche la cui soluzione non si trova con google o wikipedia, abituandoli a non fermarsi alla prima impressione, oppure dando un problema vago e senza fornire tutti gli elementi necessari alla risoluzione, lasciando ai ragazzi un margine di scoperta e di inventiva. La tecnologia usata in modo furbo è quella che facilita questi processi, che amplia gli orizzonti e la creatività.

Riconsiderare l’istituzione scuola. Mettere al centro dell’apprendimento l’alunno e l’insegnante.
In italia si stanno evolvendo diverse realtà didattiche legate ad una maggiore libertà dell’alunno.

Quali sono i metodi migliori per questo tipo di approccio?

Al centro c’è e ci deve essere lo studente, le sue curiosità e le sue difficoltà. L’insegnante è una guida che mette la sua esperienza, la sua conoscenza e la sua competenza nell’indirizzare e sostenere i ragazzi, che non vuol dire rendere loro la vita facile, ma richiede empatia, la capacità di vedere oltre. Purtroppo non tutti gli insegnanti fanno il loro lavoro con passione, per mille ragioni tra cui stipendi bassi, mancanza di riconoscimento sociale, frustrazioni di vario tipo e questo purtroppo provoca danni gravi. Una buona formazione degli insegnanti e il supporto nell’affrontare nuove sfide, facilitando l’apprendimento permanente a partire da processi di autovalutazione sostenuti da opportuni modelli organizzativi e figure professionali specifiche. Si tratta di processi lunghi e complessi, che devono essere ben strutturati e sottoposti a verifiche.

I serious game possono essere integrati in laboratori scolastici come motivatori?

Il gioco in senso lato e i videogiochi applicati o meno, sono progettati per motivare i giocatori: se non ti diverti non giochi. La capacità dei game designer sta proprio nel creare la miscela giusta, di tensione e divertimento che spinge a continuare a giocare. Giocando si impara sempre qualcosa, perché si applicano abilità metacognitive, se poi il gioco mi fa imparare anche qualcosa su un contenuto specifico si vince due volte. Far progettare un gioco ai ragazzi, li rende ancora più consapevoli di quali sono le leve della motivazione e costringe ad imparare di solito molto più cose, dalla fisica alla matematica, alla storia e alla geografia.

È possibile una scuola senza voti?

Ci sono tanti insegnanti che sarebbero felici di non dovere dare più voti, soprattutto nei primi anni di scuola. Le cose cambierranno? Nella recente circolare sui decreti attuativi della legge 107 si legge un timido accenno “Alla primaria e alla secondaria di I grado cambia la modalità di valutazione: restano i voti, ma saranno espressione dei livelli di apprendimento raggiunti e saranno affiancati da una specifica certificazione delle competenze” una frase che sembra dire, vorrei ma non posso. Il voto non serve se sono io a guidare il mio apprendimento, se sono capace di vedere le mie lacune e se sono aiutato a colmarle. Il voto può essere un motivatore ma anche un forte demotivatore.

Nella società dove l’errore viene visto come un ostacolo, si è instillato il concetto che errare sia sbagliato. Questo stigma non cagiona un atteggiamento di paura collettiva?

Non saprei se definirla paura, ma il rischio è di non ricordarsi che attraverso gli errori si impara e si cresce. Una maggiore accettazione dell’errore può facilitare un atteggiamento resiliente, un modo di essere che aiuta a rialzarsi dopo una caduta: tutti i bambini cadono quando imparano a
camminare, e tanto più velocemente imparano a rialzarzi e prima camminano. Tante persone di successo, sono persone che hanno avuto la capacità di non arrendersi anche di fronte a scelte sbagliate e di ricominciare.

Scuola gratis per tutti. Tutto è cultura, introduzione delle risorse oer nelle classi. AutoCreazione di materiale scolastico.

Risorse autoprodotte sotto licenze open e condivise da riutilizzare in altre classi, scuole. Il modello Finlandia utile come esempio di una buona scuola

Come può essere applicato un modello di educazione universitaria gratuita in Italia?

E’ una domanda a cui non so rispondere. Ci sono varie università in Europa dove non ci sono tasse di iscrizione: sarebbe interessante analizzare caso per caso, le condizioni economiche e sociali e le politiche che stanno dietro a questo scelte, di certo sempre lungimiranti per l’impatto economico. Quello che sappiamo è che la diversità culturale è sempre un fattore di arricchimento e che ci sono alte probabilità che l’attività professionale continui dove si è studiato, anche perché la
stessa Università attuano misure di sostegno. Alcuni Paesi europei più floridi economicamente e non troppo popolati attuano queste politiche per attirare giovani talenti (Austria, Danimarca). In Italia ci sono tentativi ad esempio il Politecnico di Torino, offre corsi in inglese e attira numerosi studenti stranieri (dalla Cina per esempio), ma poi non ci sono le condizioni per creare imprese localmente. Più spesso invece l’Italia regala l’investimento fatto nella formazione dei giovani ad
altri Paesi, dove i giovani hanno maggiori opportunità di crescita scientifica e professionale.

Saresti disposta a creare una comunità, dove contribuire alla creazione di materiale didattico condiviso fra scuole, alunni e insegnanti? Se si, come ?

Da almeno una decina d’anni cerco di promuovee le Risorse Educative Aperte o OER (Open Education Resources) nella scuola e nell’Università italiana. Nella scuola e in Universitaà non esisteva una competenza diffusa nell’uso del digitale, poi insegnanti e professori hanno cominciato ad usare il digitale per la loro formazione e ora -soprattutto a scuola – si sta cominciando ad usarlo anche per costruire i materiali didattici. In questi dieci anni, abbiamo capito che le OER sono poco
sostenibili economicamente, che hanno una percentuale di riuso per la modifica molto bassa forse perché manca una garanzia sulla qualità. Anche per questo, gli editori non hanno di fatto mai
ostacolato più di tanto questi movimenti.
Personalmente mi sono convinta è che era sbagliato puntare per la creazione di OER sui docenti, soprattutto quelli universitari, perché per loro non è un bisogno. O meglio, le università possono utilizzare i materiali didattici aperti come veicolo culturale e di promozione, come ha fatto il MIT dieci anni fa quando è partito, ma qui in Italia, spesso la visione è l’opposto: i materiali didattici sono “asset” che l’Università offre ai propri “clienti”. Il bisogno vero di risparmiare sui libri ce l’hanno gli studenti ed è da li che bisogna partire, come ci dimostra il gruppo di Wikitolearn – un progetto italiano https://it.wikitolearn.org/Pagina_principale partito da studenti che si sta rapidamente diffondendo in tutta Italia.
Con loro e con altri si sta lavorando per la creazione di una Comunità italiana sull’Educazione Aperta: chi fosse interessato a contribuire può mettersi in contatto con me, presto sarà disponibile un sito web con tutte le informazioni e spero che anche la Comunità italiana di Open Badge ne vorrà fare parte, visto che non ci occuperemo solo di risorse didattiche, ma anche di dati e pratiche aperte e siamo aperti ad altri contributi e suggerimenti.

Le licenze copyleft sono la strada per creare un apprendimento collaborativo e condiviso. Nel settore universitario si è diffuso l’uso degli open access e risorse copyleft per permettere la
condivisione del materiale didattico. L’unica perplessità è il metodo di revisione, che non garantisce la figura del ricercatore.

Pensi che sia sbagliato chiedere una revisione a pagamento al ricercatore per distribuire una risorsa ad accesso libero?

Non voglio entrare qui nel merito dell’Open Access e dell’Open Science, su cui ci sono altre problematiche.
Pensiamo a wikipedia: sappiamo l’enorme lavoro che c’è dietro anche in termini di controllo della qualità. Forse qualcuno si sentirebbe più a suo agio se in fondo ad ogni pagina ci fosse un bollino di qualità: se questo fosse a pagamento, il costo andrebbe sostenuto e in ogni caso congelerebbe la pagina a quella versione …. Idem per i materiali didattici: costruire una OER significa anche lasciarla aperta per modifiche successive. Ci sono criteri per valutare la qualità di un contenuto, ma se questo è pubblico, aperto e modificabile, sarà la comunità di riferimento a dare il giusto valore.

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