Non creiamo cafoni 3.0: competenze per la cittadinanza digitale

Non creiamo cafoni 3.0: competenze per la cittadinanza digitale

Fontamara è uno dei miei libri preferiti: il romanzo racconta di in un fantomatico paese nella campagna abruzzese, in cui un giorno arriva un cittadino, delegato a raccogliere le firme per una petizione ai contadini poveri e analfabeti, chiamati cafoni. I cafoni a cui era stata tolta l’energia elettrica per morosità, sono convinti con le buone, minacce e bugie a firmare un foglio bianco. Il delegato spiega loro che le autorità scriveranno il contenuto una volta che avranno le firme. I cafoni firmano, rassicurati che non si tratta di nuove tasse e convinti che il governo chieda il parere e quindi l’adesione a tutti i cafoni dei paesi vicini. Scopriranno solo dopo che le firme servono a togliere l’acqua dai loro campi per indirizzarla ai campi del delegato.

Con poca fantasia, possiamo trasporre questa storia ai nostri tempi, in cui le persone, non avendo sufficienti informazioni per approfondire tematiche complesse, di fatto sono convinte a cedere i loro diritti.

L’equivalente del sapere leggere e scrivere ai tempi di Fontamara, si traduce oggi con competenze digitali, necessarie per affrontare nuove situazioni, caratterizzate dalla crescente difficoltà di selezionare le informazioni, di usare strumenti nati per aumentare la polarizzazione delle conversazioni, scelte governate da algoritmi che possono prendere decisioni bizzarre.

La  Raccomandazione del Consiglio Europeo del 22 maggio 2018 ha inserito le competenze digitali  fra le competenze chiave per l’apprendimento permanente unitamente alle competenze linguistiche, scientifiche, civiche ed è importane comprendere che tali competenze sono tutte interrelate.

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Le competenze digitali permettono di esercitare la cittadinanza digitale, un sottoinsieme della cittadinanza tradizionale che possiamo definire come l’insieme delle regole e delle norme per agire correttamente in rete, senza provocare danno a sé stessi e agli altri, necessarie per relazionarsi con gli altri e più specificatamente per interagire con la pubblica amministrazione e le imprese.

Essere cittadini digitali consapevoli significa non solo saper usare determinati servizi, ma avere la consapevolezza del contesto e delle conseguenze delle nostre azioni, che possono sembrare irrilevanti, a causa della semplicità e della velocità con cui sono compiute, come mettere un “mi piace” o condividere una foto/un video, ma che in realtà possono avere impatti inimmaginabili sulle persone, sul piano personale e  professionale.

Il Piano d’azione per l’istruzione digitale

Avere competenze digitali è un dovere e un diritto, per questo le istituzioni pubbliche – scuole, università, biblioteche, musei, sindacati e associazioni sono chiamati a sostenere il processo di alfabetizzazione digitale della popolazione. L’Unione Europea ha lanciato per il periodo 2021 – 27  il Piano d’azione per l’istruzione digitale, necessario e motivato da indagini svolte nel 2018, tra cui una dell’OCSE che riporta che in media meno del 40% degli insegnanti europei si trova a proprio agio con gli strumenti digitali e una dell’ICILS che registra una carenza di competenze digitali di base in un terzo dei ragazzi fra i 13 e i 14 anni.

Il sopracitato Piano D’azione è articolato in 13 azioni, suddivise in due priorità: promuovere lo sviluppo di un ecosistema altamente efficiente di istruzione digitale e migliorare le competenze e le abilità digitali per la trasformazione digitale. Le azioni sono rivolte a migliorare la parte infrastrutturale (connettività e dispositivi), favorire la trasformazione digitale per le istituzioni educative e l’aggiornamento del quadro delle competenze digitali per l’uso dell’intelligenza artificiale e i dati. In Italia molte di queste azioni sono declinate all’interno delle misure del PNNR, che dovrebbe prevedere la pubblicazione del decreto sulla scuola 4.0.

DIGICOMP 2.2

A fine marzo 2022, è stato pubblicato il quadro aggiornato delle competenze digitali – DIGICOMP-  che arriva così alla versione 2.2 e include interessanti novità sulle tecnologie emergenti come IA, robotica, IoT.

Il DIGICOMP è il modello di riferimento (framework) realizzato dal Centro Comune di Ricerca (JRC) nel 2013, strutturato con una matrice che ha cinque dimensioni, e speficitamante:

  1. aree di competenza,
  2. competenze,
  3. livelli di competenza,
  4. esempi di conoscenze, abilità e attitudini,
  5. esempi d’utilizzo.

Più in dettaglio le 5 aree di competenza sono le seguenti:

  1. Alfabetizzazione su informazione e dati
  2. Comunicazione e collaborazione
  3. Creazione di contenuti digitali
  4. Sicurezza
  5. Risolvere i problemi
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Questo framework  è stato aggiornato una prima volta nel 2016 (versione 2.0), dettagliando i titoli delle cinque aree e delle 21 competenze specifiche (dimensioni 1 e 2) e successivamente nel 2017 (versione 2.1) aumentando i livelli di padronanza da tre a otto (dimensione 3) e includendo nuovi esempi (dimensione 5).

La versione  DigComp 2.2  racchiude già nel titolo la novità principale “The digital competence framework for citizens with new examples of knowledge, skills and attitudes  che consiste nella revisione degli esempi relativi alle conoscenze, abilità e attitudini (Knowledge- Skill- Attitudes – KSA in inglese) – le declinazioni della competenza –  inclusi nella dimensione 4. Per facilitare la consultazione, la guida utilizza colori per identificare le aree, intensità di colore diverse per il livello di competenza e simboli per le conoscenze (libro), competenze (bicicletta) e attitudini (cuore).

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Sono circa 250 i nuovi esempi inseriti nella nuova versione e consistono in frasi/affermazioni  che descrivono le conoscenze, abilità e attitudini necessarie per usare in modo sicuro, critico e responsabile i servizi digitali più recenti, tra cui:

  • cattiva informazione e disinformazione e l’approccio critico alle informazioni sui social media e nei siti di notizie (fact-checking, le fonti, fake news, deep fake)
  • alfabetizzazione ai media
  • lavoro a distanza, ibrido (identificato con RW- remote working)
  • accessibilità digitale (identificato con DA – digital accessibility)
  • sostenibilità ambientale e interazione con il digitale
  • benessere e sicurezza personale in contesti digitali
  • Internet delle cose
  • interazione dei cittadini con sistemi basati su intelligenza artificiale (identificato con AI uso dei dati, considerazioni etiche)
  • dati connessi ai servizi Internet e alle app (come sono usati i dati personali)
  • realtà virtuale e robotica.

Questi esempi evidenziano fanno riferimento anche ai nuovi contesti di lavoro ibrido o remoto che richiedono di saper comunicare in modo efficace, utilizzando sistemi di videoconferenza (competenza 2.1 Interagire attraverso le tecnologie digitali) o saper co-creare contenuti digitali a distanza, utilizzando mappe mentali e strumenti per sondaggi (competenza 2.4 Collaborare attraverso le tecnologie digitali). Allo stesso modo, tra le altre cose, sottolineano la necessità di una maggiore consapevolezza relativamente raccolta dei dati e all’elaborazione da parte di IA (competenza 2.6 Gestire identità digitale) e sul diritto dei cittadini europei di non essere soggetti a processi decisionali automatici, che prevede la possibilità di fare rivedere una decisione automatica a una persona umana (competenza 2.3 – Esercitare la cittadinanza attraverso le tecnologie digitali). Il  framework DigiComp 2.2, secondo Nello Iacono, grazie al focus su datificazione e IA, contribuisce a creare una consapevolezza diffusa nei cittadini sui tema della profilazione e del tracciamento di cui abbiamo parlato qui.

La scuola in tutto questo gioca un ruolo strategico e il DigiComp può essere uno strumento di riferimento per la definizione di un curricolo digitale, che non si limiti all’acquisizione delle capacità operative ma che sia palestra di cittadinanza.

Per riprendere il concetto  di “cafoni” nella versione 3.0, consiglio la lettura di questo articolo del prof. Belisario sul colonialismo digitale: una start up californiana – la Wordcoin – intende distribuire la propria valuta digitale ad ogni abitante della terra, ma per essere sicuri che ogni valuta corrispondesse ad una singola persona, hanno pensato di  utilizzare dati biometrici, attraverso la scansione dell’iride. Hanno iniziato dai paesi con maggiore povertà e ignoranza, pagando 25 dollari per ogni scansione: oggi la Worldcoin ha raccolto più di 500 mila scansioni ed è nel vortice di varie polemiche, ma quello che l’autore sottolinea è il rischio che in futuro possano aumentare le disuguaglianze tra chi potrà permettersi di pagare per la propria privacy e chi pagherà con i propri dati, rinunciando a parte dei propri diritti e libertà.

12 Aprile 2022
Eleonora Pantò