Rattoppare il digitale nella scuola italiana

Rattoppare il digitale nella scuola italiana

Alla vigilia del capodanno cinese, il 25 gennaio 2020 tornavo a Torino dal BETT di Londra, la manifestazione europea più importante dell’Education Technology: tra gli stand delle aziende, molte presenze istituzionali dagli Emirati Arabi, Oman, Marocco, Francia, che invitavano ad iscriversi alle loro scuole, presentando i grandi investimenti in infrastrutture –nuove scuole, trasporti — per attirare insegnanti nei loro Paesi: inutile dire che la scuola italiana non c’era, né erano presenti startup o aziende italiane del settore.

A due mesi circa di distanza, nel pieno di un’emergenza che non si sa quando finirà, la scuola è nuovamente in primo piano per la sua “mancata presenza”. La scuola che non c’è ha sconvolto la vita dei ragazzi e delle famiglie: con una sequenza di ordinanze e circolari, sono stati dapprima fermati i viaggi di istruzione, sospese le lezioni e chiuse le scuole, prima al 15 marzo, poi al 3 aprile e ad oggi senza una data certa di riapertura Da allora quasi tutti gli insegnanti d’Italia — ognuno a suo modo, ha messo in atto strategie per continuare a “fare lezione”. Animatori digitali e in generale, i docenti più tecnologicamente preparati si sono impegnati giorno e notte a trovare soluzioni per videoconferenze, gestire le classi a distanza e fare formazione ai colleghi.

Nelle chat e sui social, gl insegnanti chiedono consigli “meglio Meet, Classroom, Zoom, Jitsi, Edmodo”, “ma usiamo il registro elettronico”, “non bisogna usare whatsapp con gli allievi”, “per la prima volta ho dato il numero di cellulare ai miei ragazzi“, “non servono le lezioni in video conferenza, basta dare i compiti e poi correggerli”, “io mi occupavo di elearning già trent’anni fa” mentre le famiglie raccontano di studenti invitati a collegarsi alle otto del mattino per per essere interrogati a distanza, e inevitabilmente il pensiero che va ai ragazzi fragili per condizioni di divario socio economico o di salute, difficoltà di apprendimento o scarsa conoscenza della lingua.

Voglio sottolineare che si tratta di una situazione generalizzata e non solo italiana: le scuole nel mondo stanno sperimentando l’immersione nel digitale, con qualche rischio di annegamento, inevitabile con il metodo “ti butto a mare, così impari a nuotare”. Negli ultimi dieci anni il MIUR ha erogato fondi per fornire dispositivi digitali, come le LIM, fare formazione agli insegnanti, fornire nuovi ambienti di apprendimento e più biblioteche, fablab e classi del futuro, sostenere acquisti personali per gli insegnanti e gli studenti. Oggi si tirano le prime somme: gli insegnanti e i ragazzi “fanno cose” con il digitale, ma in generale sembrano prigionieri di un’idea di “scuola” che non è e non sarà più uguale a sé stessa. Il famoso aneddoto di Papert, che confronta sale operatorie e aule scolastiche dell’ottocento con quelle di oggi, non regge finalmente più.

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